Natura Vincit
Catalogo monografico dedicato alle ultime opere ad olio su tela ed a inchiostro su carta
a cura di Andrea Losavio, con testi di Fulvio Chimento e Mario Bertoni
114 pagine a colori, cm 17x25
Edito da Galleria d406, e Comune di Modena,
distribuzione Modo Infoshop, Bologna, 2021
Photogallery
Il catalogo documenta la mostra allestita nel 2021 nelle sale del Complesso San Paolo, a Modena, che offriva
una panoramica sulla più recente produzione artistica, ad olio su tela di lino e ad inchiostro su carta. Erano
allestite anche sculture in argilla cruda degli anni Novanta e una selezione dei principali taccuini disegnati
negli ultimi 25 anni. Completava il progetto una serie di grandi manifesti a stampa, affissi in vari luoghi
pubblici durante il periodo dell’esposizione, come ideale continuazione della mostra tra le strade della città.
Monographic catalog dedicated to the latest works in oil on canvas and ink on paper
edited by Andrea Losavio, with texts by Fulvio Chimento and Mario Bertoni
114 color pages, cm 17x25
Published by Galleria d406, and Comune di Modena,
distribution Modo Infoshop, Bologna, 2021
The catalog documents the exhibition set up in 2021 in the rooms of the San Paolo complex in Modena, which offered an overview of the most recent artistic production, in oil on linen canvas and ink on paper. There were also raw clay sculptures from the 1990s and a selection of the main notebooks drawn in the last 25 years. The project was completed by a series of large printed posters, posted in various public places during the exhibition period, as an ideal continuation of the exhibition on the streets of the city.
Monographic catalog dedicated to the latest works in oil on canvas and ink on paper
edited by Andrea Losavio, with texts by Fulvio Chimento and Mario Bertoni
114 color pages, cm 17x25
Published by Galleria d406, and Comune di Modena,
distribution Modo Infoshop, Bologna, 2021
The catalog documents the exhibition set up in 2021 in the rooms of the San Paolo complex in Modena, which offered an overview of the most recent artistic production, in oil on linen canvas and ink on paper. There were also raw clay sculptures from the 1990s and a selection of the main notebooks drawn in the last 25 years. The project was completed by a series of large printed posters, posted in various public places during the exhibition period, as an ideal continuation of the exhibition on the streets of the city.
Eschatos
Monografia / Catalogue, 19 anni di pittura / 19 years of painting
Intervista di/interview by Franco Fanelli, testi di/texts by Giovanni Lindo Ferretti e Maria Grazia Calandrone
190 pagine/pages, 23x28 cm, italiano/english
Produzione/production: D406 arte contemporanea, Guidi&Schoen arte contemporanea, NM Contemporary
Silvana editoriale, Cinisello Balsamo
2019
Photogallery
Estratto del testo di Giovanni Lindo Ferretti
…
antefatto
Dopo anni di promesse rimandate sono finalmente venuto a trovarti nella tua casa/studio.
C’è sempre un po’ di timore nel superare la soglia dell’intimità domestica, ne consegue comunque un giudizio: molto di ciò che in un rapporto di conoscenza e stima resta sospeso, e per lo più è bene che lo sia, trova risposte materiche a domande mai poste.
È la prima impressione quella che sedimenta, scalzarla è difficile, che nel tempo la si possa anche ribaltare nulla toglie alla prepotenza del primo sguardo.
Sono arrivato lo scorso autunno, da me c’era già odore d’inverno, scendendo resisteva una lunga estate arida che le piogge di settembre avevano salvato dalla siccità. Un viaggio breve e veloce, la discesa di una valle dal crinale alla prima pianura. Quando, fuor d’ogni dubbio, è stato evidente che ero arrivato mi è presa una gioia da bimbo: abiti in una fortezza vegetale. Un quadrilatero verde scuro, fitto di alti alberi, a far corona ed ombra ad una villa ottocentesca dove l’ultima periferia di Modena incontra la prima campagna verso Carpi.
....Emilia di notti agitate per riempire la vita....Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità.....
Un enorme spazio coltivo appena arato, terra rivoltata, fertile e piatta, delimitato verso la città da uno svincolo sempre trafficato e dall’altro la pianura agricola ed industrializzata a perdita d’occhio fino ai primi contrafforti alpini. Una strada sterrata, basta imboccarla uscendo dall’interminabile coda della tangenziale per essere immersi nella campagna. Si respira a pieni polmoni.
L’eco sempre più attutito del traffico che si allontana veloce fino a confondersi con l’orizzonte e diventa dominante il ronzio degli insetti costeggiando una fila di alveari. Superati gli annessi agricoli ecco il cancello di servizio e il tripudio della vegetazione, ombrosa, caotica, di un parco privato in disuso, solo la tua manutenzione spicciola. La casa del fattore, abbandonata come la villa, è diventata il tuo studio/abitazione. Qui hai smesso di dipingere corpi.
Mi è bastata un’occhiata alla limonaia di fianco all’entrata per cogliere l’essenza del tuo dipingere ora, la sua ragione. Tutto il resto diventa conferma e tutto è conseguenza. La pittura basta a se stessa. Le parole sono contorno.
Ancora grazie.
Giovanni Lindo Ferretti, agosto 2018
Giovanni Lindo Ferretti text extract
…
antefact
After years of postponed promises, I have finally paid a visit to your home and studio.
One always feels some kind of apprehension on passing the threshold of somebody else's domestic intimacy. In any case, a judgement follows. In any relationship based on mutual knowledge and respect, much of what is suspended – and rightly so – finds factual answers to never asked questions.
First impressions are the ones that stay; it's hard to erase them. They might be even completely reversed in time, but nothing beats the tremendous force of the first glance.
I got to your place last Autumn. My place already smelled like winter, but as I travelled downhill, I could feel the long dry summer lingering on the plain, which only some September rain had saved from drought. A short, quick journey; descending a valley from its ridge to the first plain. When I realized beyond all doubt that I had reached my destination, a child's joy seized me: you live in a vegetable fortress, a dark green quadrilateral, dense with tall trees crowning and shading a nineteenth-century villa located at the intersection between Modena's farthest suburbs and Carpi's countryside.
… Emilia of overexcited nights to fill your life … Emilia of souvenir nights bringing back no happiness.
A vast area of tilled fields – freshly ploughed up, the soil turned over – bordered to the city side by an ever-busy road junction and to the other side by the agricultural and industrial plain extending to the feet of the Alps as far as the eye can see.
A dirt track; just take it, leaving the long tailback on the ring road behind, and you will be plunged into the countryside. You can now breathe deeply. The traffic quickly drifts away until it blends in with the horizon, and its echo gets fainter and fainter; on passing by some rows of beehives, the buzzing sound of the insect takes over. There, beyond some farm buildings, stands the side gate and the triumph of vegetation – a shady, teeming vegetable chaos like an abandoned private garden growing unchecked but for some scant basic maintenance. Abandoned like the villa, the main farmhouse is now your studio and home. This is where you stopped painting bodies.
Just a quick glance towards the orangerie next to your house was enough to capture the vital essence and the quintessential reason of your painting now. All the rest becomes realization and consequence.
Painting stands alone Words are mere frills.
Thanks again.
Giovanni Lindo Ferretti, August 2018
Estratto dell’intervista di Franco Fanelli
I temi dei tuoi dipinti sono stati sondati da alcuni fotografi (nel passato, penso a Margaret Bourke-White) o da artisti che hanno utilizzato la fotografia, come i Becker, Sugimoto, Luisa Lambri o Dayanita Singh. È vero che, rispetto al tuo lavoro, i loro obiettivi erano diversi, ma io vorrei soffermarmi sul medium utilizzato, chiedendoti perché tu utilizzi la pittura.
Perché mi piace dipingere.
Come sai nei primi anni '80 ero un disegnatore che ascoltava i CCCP fedeli alla linea, poi con il tempo mi sono innamorato della pittura. Non so esattamente quando sia successo, forse di fronte alla Tempesta di Giorgione. Da lì è iniziato un viaggio di sola andata. È una scelta di vita totale, occorre tanta pratica, discernimento e follia.
La fotografia mi piace, ma nel mio caso si tratta solo di una fase intermedia, l’olio su lino mi permette di entrare in un'altra dimensione che solo la pittura può creare. La fotografia è il primo sguardo: lo scatto rappresenta il contatto con il mondo reale, attraverso l’inquadratura assorbo il soggetto dentro di me. Quando esploro questi spazi ho poco tempo, la mia presenza spesso non è autorizzata, quindi devo essere veloce. Ma in studio tutto cambia, è il momento della lentezza dell'osservazione, del disegno, dei colori e dell'odore della trementina nell'aria. Nella dimensione pittorica il tempo rallenta e lo spazio esce dal reale per divenire spazio mentale, in cui tutto è sospeso.
Inoltre c’è la passione per l’aspetto manuale della pittura, dell'oggetto unico e non ripetibile, del fare una cosa a mano e farla bene, forse trasmessomi da mio padre, che era falegname e restauratore. Mi piaceva osservarlo in laboratorio, era paziente, scrupoloso e silenzioso. Ricordo un giorno a casa, ero molto piccolo, mia madre lavorava a maglia, io disegnavo e ho pensato: voglio fare questo tutta la vita.
…
Sintetizzando al massimo, nelle tue opere più recenti appaiono due tipologie: da un lato un taglio ravvicinato, che esalta la struttura, lo scheletro delle architetture; dall’altro una ripresa in campo lungo, che colloca l’architettura in una dimensione ambientale, con cieli riflessi e orizzonti. Come possono convivere, nel tuo lavoro, due anime così diverse, che, nel primo caso, portano a risultanze “astratte” e caleidoscopiche (cioè a una forma di evocazione) e nel secondo al paesaggio o alla veduta (ossia a una forma di narrazione)? O, ancora, come riesci a far coesistere un approccio “freddo” al soggetto e un respiro neoromantico?
A volte me lo chiedo anche io. Forse non sono tipologie contrarie, ma complementari. In certi cicli pittorici ho affrontato l’aspetto che possiamo chiamare “astratto”, esasperando le strutture, specchiandole in modo artificiale, complicandole al limite della saturazione. In altri invece mi sono soffermato maggiormente sullo studio della luce, dell’ombra, della penombra.
Trovo affascinante, ad esempio, osservare come l’ombra si appoggia sulle cose, accarezzandole, o come la luce possa aprire delle porte che considero mistiche.
Posso dipingere le periferie, luoghi apparentemente insignificanti eppure carichi di bellezza, oppure soffermarmi su un singolo soggetto molto appariscente, come i gasometri o certe strutture metalliche. A volte lo studio insiste sulla struttura, altre mi lascio andare alla contemplazione emotiva del paesaggio. Credo dipenda dal mio stato d’animo del momento, o dalle fasi della vita che ho attraversato, o semplicemente perché mi interessano entrambe le cose.
Alcuni dipinti nascono dalle mie residenze a New York e a Berlino. A Brooklyn avevo lo studio vicino ad un canale che ha ispirato molti dipinti legati al riflesso. È una zona particolare, al confine tra un’area industriale semi abbandonata, e un’altra più residenziale: basta attraversare una strada e il paesaggio si trasforma improvvisamente, le persone scompaiono e restano solo le costruzioni che si sdoppiano sull’acqua.
…
La lentezza esecutiva dei tuoi dipinti è in controtendenza rispetto alla frenesia imposta dal mercato di oggi. Forse stai praticando il paradosso (o l'utopia) secondo il quale la più “commerciale” delle arti visive, la pittura, possa essere un antidoto a certa vorace superficialità imposta da un mercato che lascia sempre meno spazio alla pratica dell'arte come esperienza esistenziale (o spirituale) e alla contemplazione?
Sì, è vero. Più passa il tempo e più dipingo lentamente, ormai impiego circa un mese per ogni dipinto e questo, dal punto di vista produttivo, è decisamente antieconomico, ma non posso farci niente. Credo sia per contrapposizione al nostro tempo, o meglio una specie di compensazione: più il mondo è veloce e digitale, più la pittura diventa lenta e fisica; più c'è un consumo bulimico di immagini, più la pittura è preziosa e contemplativa, un condensato di pensieri e immagini raccolte. Il digitale scorre, è un codice numerico e asettico, la pittura resta, è fatta di pigmenti e tela, ha odore. Per vedere un video devi avere uno schermo acceso, un quadro resta sempre un quadro, in galleria come in soffitta. Le opere cosiddette concettuali le devi spiegare, la pittura non lo chiede.
Anche se inevitabilmente ne faccio parte, non mi curo molto del cosiddetto sistema dell'arte, delle strategie, cose di questo genere. Non ne sono capace, mi annoiano, preferisco dipingere. La pittura basta a se stessa. Quando dipingo un ponte non faccio altro che dipingere un ponte, ma l'atto del dipingere è carico di moltissimi significati, è portatore di un valore molto alto che va al di là della semplice rappresentazione. Devi solo imparare ad ascoltare il quadro.
Imparare ad osservare.
Certe mie composizioni mi ricordano i mandala, le rappresentazioni geometriche dell'universo, e le dipingo come se recitassi dei mantra. Mi affascinano gli anonimi pittori monaci medievali che pregavano prima di dipingere i codici miniati. Ho ricevuto una educazione cattolica, ho studiato l'arte ispirata ai Vangeli e alla Bibbia e, anche se le mie non sono opere religiose, nel mio lavoro è sempre presente una componente spirituale e mistica.
Sempre a proposito della lentezza, ho letto che se non intervieni in un pezzo di terra in 40 anni tutto torna bosco. Questo mi dà speranza. Ogni volta che mi sono intrufolato negli edifici abbandonati ho sempre incontrato la natura ribelle, ma fino ad oggi, tranne qualche sporadica eccezione, non l'avevo mai dipinta nei quadri. Non mi sentivo pronto, ma forse i tempi ora sono maturi. Leggendo il Manifesto del Terzo paesaggio di Gilles Clément, mi sono sentito a casa, da trent'anni vago nel paesaggio che lui ha identificato, le grandi aree o piccoli spazi abbandonati quasi invisibili in cui la natura lentamente riprende il sopravvento.
Non ho lo sguardo di un botanico, piuttosto mi interessa l'atmosfera onirica, magica e misteriosa che si crea.
Più dei giardini mi attraggono i boschi.
Poi se ci pensi dipingo spazi industriali e urbani abbandonati, ma vivo in un luogo di confine, tra la tangenziale e la campagna, circondato dalla natura, in un piccolo bosco dove le piante avvolgono la casa e lo studio.
E' una compensazione.
Tutto scorre, sul lungo periodo la natura si riappropria delle cose.
La natura vince.
Dipingo queste cose perché le sento simili a me.
Torino- Modena, 2012-2018
Franco Fanelli interview extract
The themes in your paintings have been dealt with by photographers (Margaret Bourke-White, for instance) or other artists that used the medium of photography, such as the Beckers, Sugimoto, Luisa Lambri or Dayanita Singh. Compared to yours, their aims were certainly different. I would like to talk about the relation to the medium you have chosen: Why do you use painting?
Because I love painting.
As you know, I used to be a sketcher and a comic artist listening to CCCP fedeli alla linea in the early Eighties, and then – in time – I fell in love with painting. I cannot tell the exact time it happened, maybe on looking at Giorgione's Tempesta, but that moment launched me onto a one-way journey; painting is an all-embracing choice of life requiring practice, good sense, and folly.
I appreciate photography but to me it is just an in-between in the artwork creation; using oil on linen allows me to achieve a dimension that only painting can create. Photography is just the first glance, forming a sort of interface with reality, enabling me to absorb the subject . When I carry out my exploration of abandoned places, I do not have much time; my presence is rarely authorized and I must be really swift. But later, in my studio, everything changes: it is the slow time of observation, of drawing, of paints and the smell of turpentine in the air. In the pictorial dimension, time slows down and actual space gets de-actualized and becomes mental space: here everything is suspended.
What fascinates me about painting is the manual element it implies; the fact that you can create a unique and irreplicable object, the very idea of creating something by hand and doing it well.
I probably owe this passion to my father, who was a carpenter and a restorer. I liked to watch him while he was busy in his workshop: he was patient, dedicated, and silent. One day, when I was a really small child, I was at home with my mother. She was knitting, I was drawing, and I remember thinking – This is what I want to do for the rest of my life.
…
The paintings in your recent production essentially fall into two categories: on the one hand we have close-ups which highlight the architectural structures and their skeleton; on the other hand we have long shots which show how the architecture engages with its surroundings, with the horizon and reflected skies. Your work seems to have a double soul, with the first type of painting leading to abstract or kaleidoscopic representations – and working mainly on the evocative level – whereas the landscape paintings, the views, clearly imply a form of narration. I would be curious to know how these two very different souls can live side by side in your production. And also, how can a “cold” approach to the subject and a neo-romantic outlook coexist in your work? How do you manage?
Well, this often makes me wonder, in fact. They might not be contrary types; they could be seen as complementing each other, actually. Some painting cycles of mine focus on the more “abstract” quality of the structures; the lines are extremized, artificially mirrored and complicated to the point of saturation. In some other cycles I have preferred to dwell on the study of light, shadow, penumbra. For me it is always fascinating to observe how light rests on things, caressing them, or the fact that light can actually open doors which for me are mystical.
Sometimes I like to paint the suburbs, apparently nondescript places in which I often find extraordinary beauty. On other occasions, I focus on a single highly visible element, like the gasometers or certain metal constructions. There are times when my study concentrates on the structure, and other times I just get carried away by the emotional contemplation of the landscape. I think it all depends on my state of mind at the time, or maybe by the phase of life I am going through, or simply I am interested in both aspects.
My residences in New York and Berlin gave rise to several paintings. My studio in Brooklyn was located near a canal which inspired many paintings on the theme of reflection. This is a place where a semi-abandoned industrial area and a more residential neighbourhood overlap and mingle: just cross the road and you will find yourself in a completely different environment. People suddenly disappear from view and all you can see is buildings reflecting off the water.
…
The slow pace you maintain in the creation of your paintings goes against the frenzy which the contemporary art market imposes. I feel you might be trying to put into practice a paradox (or a utopia), namely the one that sees painting – the most commercial of all visual arts – as an antidote to a certain voraciousness of the market, which is leaving less and less room for an artistic practice that is existential or spiritual experience and for contemplation?
You are right, As time goes by, I am painting more and more slowly; by now each painting takes almost a month to be completed; this is utterly counter-productive from the economic standpoint, but I cannot help it. I think I am trying to oppose, or rather to counterbalance our time: the more accelerated and digital our world gets to be, the more unrushed and physical my painting becomes; while images are consumed in an increasingly bulimic way, painting becomes more precious and contemplative, a synthesis of collected thoughts and images. Digital stuff flows, it an aseptic numeric code; painting stays, it is made of pigments and canvas, it has a peculiar smell. You need a screen to watch a video but a painting is a painting, be it in a gallery or in your attic. The so-called conceptual works of art need explaining, paintings does not require any explanation.
Although I am inevitably part of the art system, I do not pay much attention to it, I do not deal with market strategies or the like; I am no good and I get bored. I prefer to paint.
Painting is complete in itself. When I am painting a bridge, I do nothing but paint a bridge, but the act of painting is has deep meanings in itself, it holds great value, which goes beyond that of simple representation. You just have to learn and listen to the painting, learn to observe it.
Some of my compositions remind me of Mandala paintings, the geometrical representations of the universe, and I paint them as if I was reciting a mantra. I am fascinated by the nameless medieval painters-monks who used to pray before they set to paint their illuminated codes. I was brought up as a Catholic, I studied the art inspired by the Gospel and the Bible, and although my paintings are not religious in nature, a spiritual and mystic element is always present in my work.
Talking about slowness, I have read that if you leave a plot of land to its own devices for about forty years, it all reverts to woods. This gives me hope. Whenever I sneaked into an abandoned building, I always found wild nature inside, but I had never painted it till today – apart from few exceptions. I didn't feel ready in the past, but the time seems ripe now. On reading Gilles Clément's Manifesto of the Third Landscape I felt at home; for years I have been wandering in the kind of landscape described in his book, large or small abandoned areas, mostly invisible, where nature is slowly taking over again. My gaze is not a botanist's. I am interested in the magic, oneiric and mysterious atmosphere that emanates from these places. For me woods have a deeper fascination than gardens.
Although I paint abandoned industrial sites and urban space, I live by the ring-road, on the borderline between the city and the countryside, surrounded by nature; a thicket wraps up my house and studio in trees.
This, too, is a form of counterbalance.
Everything flows; in the long run nature re- appropriates all things.
Nature wins.
I paint such things because I feel them close to me.
Turin- Modena, 2012- 2018
…
antefatto
Dopo anni di promesse rimandate sono finalmente venuto a trovarti nella tua casa/studio.
C’è sempre un po’ di timore nel superare la soglia dell’intimità domestica, ne consegue comunque un giudizio: molto di ciò che in un rapporto di conoscenza e stima resta sospeso, e per lo più è bene che lo sia, trova risposte materiche a domande mai poste.
È la prima impressione quella che sedimenta, scalzarla è difficile, che nel tempo la si possa anche ribaltare nulla toglie alla prepotenza del primo sguardo.
Sono arrivato lo scorso autunno, da me c’era già odore d’inverno, scendendo resisteva una lunga estate arida che le piogge di settembre avevano salvato dalla siccità. Un viaggio breve e veloce, la discesa di una valle dal crinale alla prima pianura. Quando, fuor d’ogni dubbio, è stato evidente che ero arrivato mi è presa una gioia da bimbo: abiti in una fortezza vegetale. Un quadrilatero verde scuro, fitto di alti alberi, a far corona ed ombra ad una villa ottocentesca dove l’ultima periferia di Modena incontra la prima campagna verso Carpi.
....Emilia di notti agitate per riempire la vita....Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità.....
Un enorme spazio coltivo appena arato, terra rivoltata, fertile e piatta, delimitato verso la città da uno svincolo sempre trafficato e dall’altro la pianura agricola ed industrializzata a perdita d’occhio fino ai primi contrafforti alpini. Una strada sterrata, basta imboccarla uscendo dall’interminabile coda della tangenziale per essere immersi nella campagna. Si respira a pieni polmoni.
L’eco sempre più attutito del traffico che si allontana veloce fino a confondersi con l’orizzonte e diventa dominante il ronzio degli insetti costeggiando una fila di alveari. Superati gli annessi agricoli ecco il cancello di servizio e il tripudio della vegetazione, ombrosa, caotica, di un parco privato in disuso, solo la tua manutenzione spicciola. La casa del fattore, abbandonata come la villa, è diventata il tuo studio/abitazione. Qui hai smesso di dipingere corpi.
Mi è bastata un’occhiata alla limonaia di fianco all’entrata per cogliere l’essenza del tuo dipingere ora, la sua ragione. Tutto il resto diventa conferma e tutto è conseguenza. La pittura basta a se stessa. Le parole sono contorno.
Ancora grazie.
Giovanni Lindo Ferretti, agosto 2018
Giovanni Lindo Ferretti text extract
…
antefact
After years of postponed promises, I have finally paid a visit to your home and studio.
One always feels some kind of apprehension on passing the threshold of somebody else's domestic intimacy. In any case, a judgement follows. In any relationship based on mutual knowledge and respect, much of what is suspended – and rightly so – finds factual answers to never asked questions.
First impressions are the ones that stay; it's hard to erase them. They might be even completely reversed in time, but nothing beats the tremendous force of the first glance.
I got to your place last Autumn. My place already smelled like winter, but as I travelled downhill, I could feel the long dry summer lingering on the plain, which only some September rain had saved from drought. A short, quick journey; descending a valley from its ridge to the first plain. When I realized beyond all doubt that I had reached my destination, a child's joy seized me: you live in a vegetable fortress, a dark green quadrilateral, dense with tall trees crowning and shading a nineteenth-century villa located at the intersection between Modena's farthest suburbs and Carpi's countryside.
… Emilia of overexcited nights to fill your life … Emilia of souvenir nights bringing back no happiness.
A vast area of tilled fields – freshly ploughed up, the soil turned over – bordered to the city side by an ever-busy road junction and to the other side by the agricultural and industrial plain extending to the feet of the Alps as far as the eye can see.
A dirt track; just take it, leaving the long tailback on the ring road behind, and you will be plunged into the countryside. You can now breathe deeply. The traffic quickly drifts away until it blends in with the horizon, and its echo gets fainter and fainter; on passing by some rows of beehives, the buzzing sound of the insect takes over. There, beyond some farm buildings, stands the side gate and the triumph of vegetation – a shady, teeming vegetable chaos like an abandoned private garden growing unchecked but for some scant basic maintenance. Abandoned like the villa, the main farmhouse is now your studio and home. This is where you stopped painting bodies.
Just a quick glance towards the orangerie next to your house was enough to capture the vital essence and the quintessential reason of your painting now. All the rest becomes realization and consequence.
Painting stands alone Words are mere frills.
Thanks again.
Giovanni Lindo Ferretti, August 2018
Estratto dell’intervista di Franco Fanelli
I temi dei tuoi dipinti sono stati sondati da alcuni fotografi (nel passato, penso a Margaret Bourke-White) o da artisti che hanno utilizzato la fotografia, come i Becker, Sugimoto, Luisa Lambri o Dayanita Singh. È vero che, rispetto al tuo lavoro, i loro obiettivi erano diversi, ma io vorrei soffermarmi sul medium utilizzato, chiedendoti perché tu utilizzi la pittura.
Perché mi piace dipingere.
Come sai nei primi anni '80 ero un disegnatore che ascoltava i CCCP fedeli alla linea, poi con il tempo mi sono innamorato della pittura. Non so esattamente quando sia successo, forse di fronte alla Tempesta di Giorgione. Da lì è iniziato un viaggio di sola andata. È una scelta di vita totale, occorre tanta pratica, discernimento e follia.
La fotografia mi piace, ma nel mio caso si tratta solo di una fase intermedia, l’olio su lino mi permette di entrare in un'altra dimensione che solo la pittura può creare. La fotografia è il primo sguardo: lo scatto rappresenta il contatto con il mondo reale, attraverso l’inquadratura assorbo il soggetto dentro di me. Quando esploro questi spazi ho poco tempo, la mia presenza spesso non è autorizzata, quindi devo essere veloce. Ma in studio tutto cambia, è il momento della lentezza dell'osservazione, del disegno, dei colori e dell'odore della trementina nell'aria. Nella dimensione pittorica il tempo rallenta e lo spazio esce dal reale per divenire spazio mentale, in cui tutto è sospeso.
Inoltre c’è la passione per l’aspetto manuale della pittura, dell'oggetto unico e non ripetibile, del fare una cosa a mano e farla bene, forse trasmessomi da mio padre, che era falegname e restauratore. Mi piaceva osservarlo in laboratorio, era paziente, scrupoloso e silenzioso. Ricordo un giorno a casa, ero molto piccolo, mia madre lavorava a maglia, io disegnavo e ho pensato: voglio fare questo tutta la vita.
…
Sintetizzando al massimo, nelle tue opere più recenti appaiono due tipologie: da un lato un taglio ravvicinato, che esalta la struttura, lo scheletro delle architetture; dall’altro una ripresa in campo lungo, che colloca l’architettura in una dimensione ambientale, con cieli riflessi e orizzonti. Come possono convivere, nel tuo lavoro, due anime così diverse, che, nel primo caso, portano a risultanze “astratte” e caleidoscopiche (cioè a una forma di evocazione) e nel secondo al paesaggio o alla veduta (ossia a una forma di narrazione)? O, ancora, come riesci a far coesistere un approccio “freddo” al soggetto e un respiro neoromantico?
A volte me lo chiedo anche io. Forse non sono tipologie contrarie, ma complementari. In certi cicli pittorici ho affrontato l’aspetto che possiamo chiamare “astratto”, esasperando le strutture, specchiandole in modo artificiale, complicandole al limite della saturazione. In altri invece mi sono soffermato maggiormente sullo studio della luce, dell’ombra, della penombra.
Trovo affascinante, ad esempio, osservare come l’ombra si appoggia sulle cose, accarezzandole, o come la luce possa aprire delle porte che considero mistiche.
Posso dipingere le periferie, luoghi apparentemente insignificanti eppure carichi di bellezza, oppure soffermarmi su un singolo soggetto molto appariscente, come i gasometri o certe strutture metalliche. A volte lo studio insiste sulla struttura, altre mi lascio andare alla contemplazione emotiva del paesaggio. Credo dipenda dal mio stato d’animo del momento, o dalle fasi della vita che ho attraversato, o semplicemente perché mi interessano entrambe le cose.
Alcuni dipinti nascono dalle mie residenze a New York e a Berlino. A Brooklyn avevo lo studio vicino ad un canale che ha ispirato molti dipinti legati al riflesso. È una zona particolare, al confine tra un’area industriale semi abbandonata, e un’altra più residenziale: basta attraversare una strada e il paesaggio si trasforma improvvisamente, le persone scompaiono e restano solo le costruzioni che si sdoppiano sull’acqua.
…
La lentezza esecutiva dei tuoi dipinti è in controtendenza rispetto alla frenesia imposta dal mercato di oggi. Forse stai praticando il paradosso (o l'utopia) secondo il quale la più “commerciale” delle arti visive, la pittura, possa essere un antidoto a certa vorace superficialità imposta da un mercato che lascia sempre meno spazio alla pratica dell'arte come esperienza esistenziale (o spirituale) e alla contemplazione?
Sì, è vero. Più passa il tempo e più dipingo lentamente, ormai impiego circa un mese per ogni dipinto e questo, dal punto di vista produttivo, è decisamente antieconomico, ma non posso farci niente. Credo sia per contrapposizione al nostro tempo, o meglio una specie di compensazione: più il mondo è veloce e digitale, più la pittura diventa lenta e fisica; più c'è un consumo bulimico di immagini, più la pittura è preziosa e contemplativa, un condensato di pensieri e immagini raccolte. Il digitale scorre, è un codice numerico e asettico, la pittura resta, è fatta di pigmenti e tela, ha odore. Per vedere un video devi avere uno schermo acceso, un quadro resta sempre un quadro, in galleria come in soffitta. Le opere cosiddette concettuali le devi spiegare, la pittura non lo chiede.
Anche se inevitabilmente ne faccio parte, non mi curo molto del cosiddetto sistema dell'arte, delle strategie, cose di questo genere. Non ne sono capace, mi annoiano, preferisco dipingere. La pittura basta a se stessa. Quando dipingo un ponte non faccio altro che dipingere un ponte, ma l'atto del dipingere è carico di moltissimi significati, è portatore di un valore molto alto che va al di là della semplice rappresentazione. Devi solo imparare ad ascoltare il quadro.
Imparare ad osservare.
Certe mie composizioni mi ricordano i mandala, le rappresentazioni geometriche dell'universo, e le dipingo come se recitassi dei mantra. Mi affascinano gli anonimi pittori monaci medievali che pregavano prima di dipingere i codici miniati. Ho ricevuto una educazione cattolica, ho studiato l'arte ispirata ai Vangeli e alla Bibbia e, anche se le mie non sono opere religiose, nel mio lavoro è sempre presente una componente spirituale e mistica.
Sempre a proposito della lentezza, ho letto che se non intervieni in un pezzo di terra in 40 anni tutto torna bosco. Questo mi dà speranza. Ogni volta che mi sono intrufolato negli edifici abbandonati ho sempre incontrato la natura ribelle, ma fino ad oggi, tranne qualche sporadica eccezione, non l'avevo mai dipinta nei quadri. Non mi sentivo pronto, ma forse i tempi ora sono maturi. Leggendo il Manifesto del Terzo paesaggio di Gilles Clément, mi sono sentito a casa, da trent'anni vago nel paesaggio che lui ha identificato, le grandi aree o piccoli spazi abbandonati quasi invisibili in cui la natura lentamente riprende il sopravvento.
Non ho lo sguardo di un botanico, piuttosto mi interessa l'atmosfera onirica, magica e misteriosa che si crea.
Più dei giardini mi attraggono i boschi.
Poi se ci pensi dipingo spazi industriali e urbani abbandonati, ma vivo in un luogo di confine, tra la tangenziale e la campagna, circondato dalla natura, in un piccolo bosco dove le piante avvolgono la casa e lo studio.
E' una compensazione.
Tutto scorre, sul lungo periodo la natura si riappropria delle cose.
La natura vince.
Dipingo queste cose perché le sento simili a me.
Torino- Modena, 2012-2018
Franco Fanelli interview extract
The themes in your paintings have been dealt with by photographers (Margaret Bourke-White, for instance) or other artists that used the medium of photography, such as the Beckers, Sugimoto, Luisa Lambri or Dayanita Singh. Compared to yours, their aims were certainly different. I would like to talk about the relation to the medium you have chosen: Why do you use painting?
Because I love painting.
As you know, I used to be a sketcher and a comic artist listening to CCCP fedeli alla linea in the early Eighties, and then – in time – I fell in love with painting. I cannot tell the exact time it happened, maybe on looking at Giorgione's Tempesta, but that moment launched me onto a one-way journey; painting is an all-embracing choice of life requiring practice, good sense, and folly.
I appreciate photography but to me it is just an in-between in the artwork creation; using oil on linen allows me to achieve a dimension that only painting can create. Photography is just the first glance, forming a sort of interface with reality, enabling me to absorb the subject . When I carry out my exploration of abandoned places, I do not have much time; my presence is rarely authorized and I must be really swift. But later, in my studio, everything changes: it is the slow time of observation, of drawing, of paints and the smell of turpentine in the air. In the pictorial dimension, time slows down and actual space gets de-actualized and becomes mental space: here everything is suspended.
What fascinates me about painting is the manual element it implies; the fact that you can create a unique and irreplicable object, the very idea of creating something by hand and doing it well.
I probably owe this passion to my father, who was a carpenter and a restorer. I liked to watch him while he was busy in his workshop: he was patient, dedicated, and silent. One day, when I was a really small child, I was at home with my mother. She was knitting, I was drawing, and I remember thinking – This is what I want to do for the rest of my life.
…
The paintings in your recent production essentially fall into two categories: on the one hand we have close-ups which highlight the architectural structures and their skeleton; on the other hand we have long shots which show how the architecture engages with its surroundings, with the horizon and reflected skies. Your work seems to have a double soul, with the first type of painting leading to abstract or kaleidoscopic representations – and working mainly on the evocative level – whereas the landscape paintings, the views, clearly imply a form of narration. I would be curious to know how these two very different souls can live side by side in your production. And also, how can a “cold” approach to the subject and a neo-romantic outlook coexist in your work? How do you manage?
Well, this often makes me wonder, in fact. They might not be contrary types; they could be seen as complementing each other, actually. Some painting cycles of mine focus on the more “abstract” quality of the structures; the lines are extremized, artificially mirrored and complicated to the point of saturation. In some other cycles I have preferred to dwell on the study of light, shadow, penumbra. For me it is always fascinating to observe how light rests on things, caressing them, or the fact that light can actually open doors which for me are mystical.
Sometimes I like to paint the suburbs, apparently nondescript places in which I often find extraordinary beauty. On other occasions, I focus on a single highly visible element, like the gasometers or certain metal constructions. There are times when my study concentrates on the structure, and other times I just get carried away by the emotional contemplation of the landscape. I think it all depends on my state of mind at the time, or maybe by the phase of life I am going through, or simply I am interested in both aspects.
My residences in New York and Berlin gave rise to several paintings. My studio in Brooklyn was located near a canal which inspired many paintings on the theme of reflection. This is a place where a semi-abandoned industrial area and a more residential neighbourhood overlap and mingle: just cross the road and you will find yourself in a completely different environment. People suddenly disappear from view and all you can see is buildings reflecting off the water.
…
The slow pace you maintain in the creation of your paintings goes against the frenzy which the contemporary art market imposes. I feel you might be trying to put into practice a paradox (or a utopia), namely the one that sees painting – the most commercial of all visual arts – as an antidote to a certain voraciousness of the market, which is leaving less and less room for an artistic practice that is existential or spiritual experience and for contemplation?
You are right, As time goes by, I am painting more and more slowly; by now each painting takes almost a month to be completed; this is utterly counter-productive from the economic standpoint, but I cannot help it. I think I am trying to oppose, or rather to counterbalance our time: the more accelerated and digital our world gets to be, the more unrushed and physical my painting becomes; while images are consumed in an increasingly bulimic way, painting becomes more precious and contemplative, a synthesis of collected thoughts and images. Digital stuff flows, it an aseptic numeric code; painting stays, it is made of pigments and canvas, it has a peculiar smell. You need a screen to watch a video but a painting is a painting, be it in a gallery or in your attic. The so-called conceptual works of art need explaining, paintings does not require any explanation.
Although I am inevitably part of the art system, I do not pay much attention to it, I do not deal with market strategies or the like; I am no good and I get bored. I prefer to paint.
Painting is complete in itself. When I am painting a bridge, I do nothing but paint a bridge, but the act of painting is has deep meanings in itself, it holds great value, which goes beyond that of simple representation. You just have to learn and listen to the painting, learn to observe it.
Some of my compositions remind me of Mandala paintings, the geometrical representations of the universe, and I paint them as if I was reciting a mantra. I am fascinated by the nameless medieval painters-monks who used to pray before they set to paint their illuminated codes. I was brought up as a Catholic, I studied the art inspired by the Gospel and the Bible, and although my paintings are not religious in nature, a spiritual and mystic element is always present in my work.
Talking about slowness, I have read that if you leave a plot of land to its own devices for about forty years, it all reverts to woods. This gives me hope. Whenever I sneaked into an abandoned building, I always found wild nature inside, but I had never painted it till today – apart from few exceptions. I didn't feel ready in the past, but the time seems ripe now. On reading Gilles Clément's Manifesto of the Third Landscape I felt at home; for years I have been wandering in the kind of landscape described in his book, large or small abandoned areas, mostly invisible, where nature is slowly taking over again. My gaze is not a botanist's. I am interested in the magic, oneiric and mysterious atmosphere that emanates from these places. For me woods have a deeper fascination than gardens.
Although I paint abandoned industrial sites and urban space, I live by the ring-road, on the borderline between the city and the countryside, surrounded by nature; a thicket wraps up my house and studio in trees.
This, too, is a form of counterbalance.
Everything flows; in the long run nature re- appropriates all things.
Nature wins.
I paint such things because I feel them close to me.
Turin- Modena, 2012- 2018
Andrea Chiesi
andreachiesi66@gmail.com
andreachiesi66@gmail.com
Guidi & Schoen arte contemporanea
Piazza dei Garibaldi 18r 16123 Genova, Italy
+39 010 2530557 - www.guidieschoen.com
D406 Fedeli alla linea
+39 327 1841147 - www.d406modena.it
Otto Gallery
Via D'Azeglio 50, 40123 Bologna, Italy
+39 051 6449845 - www.otto-gallery.it
NM Contemporary
17 Rue de La Turbie
MC 98000 Principality of Monaco
T el. 00377 9798 0642 - www.nmcontemporary.com
traduzioni di / traslations by: Greta Calzolari, Enrica Serafini, Paula Joy Grisdale
supervisione delle traduzioni / translations supervision: Marisa Castagno and John Thiessen
Fotografie dei dipinti/Photographs of the paintings: Dario Lasagni, Raffaele Cimino, Enrico Valenti
Piazza dei Garibaldi 18r 16123 Genova, Italy
+39 010 2530557 - www.guidieschoen.com
D406 Fedeli alla linea
+39 327 1841147 - www.d406modena.it
Otto Gallery
Via D'Azeglio 50, 40123 Bologna, Italy
+39 051 6449845 - www.otto-gallery.it
NM Contemporary
17 Rue de La Turbie
MC 98000 Principality of Monaco
T el. 00377 9798 0642 - www.nmcontemporary.com
traduzioni di / traslations by: Greta Calzolari, Enrica Serafini, Paula Joy Grisdale
supervisione delle traduzioni / translations supervision: Marisa Castagno and John Thiessen
Fotografie dei dipinti/Photographs of the paintings: Dario Lasagni, Raffaele Cimino, Enrico Valenti
Galleria Monopoli
Via privata Giovanni Ventura 6
Ingresso da via Massimiano, 20134 Milano (Lambrate)
+39 333 5946896 - +39 02 36593646
www.galleriamonopoli.com
Nohra Haime Gallery
730 Fifth Avenue, Suite 701, New York NY 1009, U.S.A.
+1 212 888 3550 - www.nohrahaimegallery.com
BEING 3
No. 129 Naogao Rd., The No.3 Plastic Cultural Park
Chaoyang District, Beijing, China
+86 10 57097603 - Mobile: 13511061536 - www.being3.com
Via privata Giovanni Ventura 6
Ingresso da via Massimiano, 20134 Milano (Lambrate)
+39 333 5946896 - +39 02 36593646
www.galleriamonopoli.com
Nohra Haime Gallery
730 Fifth Avenue, Suite 701, New York NY 1009, U.S.A.
+1 212 888 3550 - www.nohrahaimegallery.com
BEING 3
No. 129 Naogao Rd., The No.3 Plastic Cultural Park
Chaoyang District, Beijing, China
+86 10 57097603 - Mobile: 13511061536 - www.being3.com
Andrea Chiesi official site © 2019 - P. IVA 02494170364
powered by Thanit